Don Pino Puglisi primo martire di mafia

 

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Pino Puglisi, Sacerdote del Signore, Missionario del Vangelo, Formatore di coscienze nella verità, promotore di solidarietà sociale e di servizio ecclesiastico nella carità, ucciso dai sicari di Cosa Nostra per ordine dei boss del quartiere palermitano Brancaccio, il 15 settembre 1993, riconosciuto ufficialmente dalla Chiesa cattolica  primo martire di mafia” (Epitaffio composto dal Card. Pappalardo).

 

Don Luigi Ciotti: La parabola di don Pino

“Entrato nella città di Gerico, Gesù la stava attraversando” (Lc 19, 1)

Gesù percorreva quelle strade attento non soltanto a incontrare la folla che gli era attorno, ma anche chi, a causa della ressa, non riusciva a vederlo: Zaccheo. Un Gesù che attraversa le strade del suo tempo è, probabilmente, il più bel ricordo di don Giuseppe Puglisi ucciso a Palermo, nel giorno del suo compleanno.

Lo hanno ucciso in “strada”. Dove viveva, dove incontrava i “piccoli”, gli adulti, gli anziani, quanti avevano bisogno di aiuto e  quanti, con la propria condotta, si rendevano responsabili di illegalità, soprusi e violenze. Probabilmente per questo lo hanno ucciso: perché un modo così radicale di abitare la “strada” e di esercitare il ministero del parroco è scomodo.

Lo hanno ucciso nell’illusione di spegnere una presenza fatta di ascolto, di denuncia, di condivisione.

Ricordare quel momento significa non soltanto “celebrare”, ma prima di tutto alzare lo sguardo, far nostro l’impegno di don Giuseppe, raccogliere quell’eredità con la stessa determinazione, con identica passione e uguale umiltà.

Cosa ci ha consegnato don Giuseppe? Innanzitutto il suo modo di intendere e di vivere la parrocchia, di essere parroco.

Non ha pensato, infatti, la parrocchia unicamente come la “sua” comunità di fedeli, come comunità di credenti slegata dal contesto storico e geografico in cui è inserita. L’ha vissuta, prima di tutto, come territorio, cioè come persone chiamate a condividere uno spazio, dei tempi e dei luoghi di vita. Per partecipare alla vita di chi gli era vicino ha accettato di percorrere e ripercorrere le strade

del rione Brancaccio. Ha vissuto la strada -quella strada che Gesù ha fatto sua- come luogo di povertà, di bisogni, di linguaggi, di relazioni e di domande in continua trasformazione. L’ha abitata così e ha tentato, a ogni costo, di restarvi fedele.

In altre parole, ha incarnato pienamente la povertà, la fatica, la libertà e la gioia del vivere, come preti, in parrocchia.

Con la sua testimonianza don Pino ci sprona a sostenere quanti vivono questa stessa realtà con impegno e silenzio.

Non il silenzio di chi rinuncia a parlare e denunciare, ma quello di chi, per la scelta dello “stare” nel suo territorio,  rifiuta le passerelle o gli inutili proclami. “Beati i perseguitati a causa della giustizia perché di essi è il Regno dei cieli” (Mt 5, 10).

Anche questo ci ha consegnato don Giuseppe: una grande passione per la giustizia, una direzione e un senso per il nostro  essere Chiesa e soprattutto un invito per le nostre parrocchie ad alzare lo sguardo, a dotarsi di strumenti adeguati e incisivi

per perseguire quella giustizia e quella legalità che tutti, a parole, desideriamo. Per questo don Giuseppe è morto:perché con l’ostinata volontà del cercare giustizia è andato oltre i confini della sua stessa comunità di credenti.

“Entrato in casa di uno dei capi dei farisei, Gesù…” (Lc 14, 1). Ecco un altro aspetto ricco di significati. Al di là dei princìpi o delle roboanti dichiarazioni ciò che conta è la capacità di viverli e di praticarli nella quotidianità. Don Puglisi non è stato ucciso perché dal pulpito della sua chiesa annunciava princìpi astratti, ma perché ha voluto uscire dalla loro genericità per testimoniarli nella vita quotidiana, dove le relazioni e i problemi assumono la dimensione più vera.

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