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PARROCCHIA SANTA MARIA MADDALENA

ARCIPRETURA DI CIMINNA

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Tribuna Maggiore Chiesa Madre di Ciminna

Chiesa di Santa Maria Maddalena

La chiesa di Santa Maria Maddalena o chiesa Madre è la chiesa principale di Ciminna, in provincia di Palermo. Di gusto prevalentemente barocco, contiene pregevoli opere d’arte locale. La chiesa è stata usata come location per girare parte del film Il Gattopardo di Luchino Visconti[1][2].

Storia

La chiesa esisteva già nel 1230 ed è da identificare con quella che le fonti indicano come fabbricata quanto nacque il nucleo storico di Ciminna e che, secondo tradizione, era annessa al castello. È ipotizzabile che venisse distrutta nel corso di una scorreria angioina che, il 26 giugno 1326, devastò le campagne e l’abitato, dando alle fiamme il castello. Matteo Sclafani, signore di Ciminna, ricostruì nelle vicinanze un palazzo-torre e nel 1333, dispose l’edificazione di una nuova chiesa in un luogo che egli stesso avrebbe scelto, volendola dedicare a San Giovanni Battista. Fonti archivistiche ne affermano la fondazione nel 1350, precisando come avesse l’altare maggiore verso settentrione e fosse dedicata a Santa Maria Maddalena. Di questa chiesa trecentesca sono pervenuti resti della cripta e della zona absidale. Ricostruita dopo l’elevazione a parrocchia sull’area della precedente, ha l’abside rivolta ad oriente. La più antica delle strutture è la torre campanaria del 1519: un’epigrafe ne fissava l’ultimazione nel 1550, anno in cui fu fusa la campana maggiore. Ispirata alle costruzioni normanne, conserva lo schema icnografico della chiesa di Santo Spirito di Palermo. Alla solidità di quelle costruzioni si richiama la zona absidale con le caratteristiche asimmetrie mentre l’aula, coperta da controsoffitto piano (distrutto nel 1970) e il prospetto, presentavano elementi gotici desunti dal Quattrocento palermitano. Il sisma del 1693 danneggiò il prospetto, rimodellato con inserti che richiamano il lessico architettonico di Paolo Amato. L’interno, coperto da stucchi decorativi nel Settecento, prese aspetto barocco. Allo stesso periodo risale il tono rosso dell’intonaco di facciata, in origine bianco.

Opere

Tra le opere d’arte del Cinquecento conservate nella chiesa vanno ricordati l’arcone in pietra locale della cappella dei santi Simone e Taddeo, un polittico marmoreo attribuito a Giacomo Gagini, un piccolo Crocifisso ligneo e lo Spasimo di Sicilia di Simone de Wobreck.

Fra le opere del Seicento è da ricordare la grande decorazione a stucco della tribuna maggiore eseguita nel 1622 da Scipione Li Volsi da Tusa, ispirata alla distrutta tribuna della Cattedrale di Palermo, le decorazioni a stucco delle Cappelle di Santa Maria e del Santissimo Sacramento eseguite dai Li Volsi e rimaneggiate in epoche successive. Da ricordare anche le grandi tele di Vincenzo La Barbera (la Consegna delle chiavi a San Pietro e la Dormitio Virginis) e del novellesco ciminnese, Francesco Gigante (il Privilegio di San Gregorio Magno e I diecimila Martiri, ispirata al poema sacro del Potenzano) che dipinse anche Santa Maria e l’Angelo. Da segnalare per importanza la tela raffigurante Santa Rosalia (1626) di Girolamo Gerardi[3] e l’Esaltazione del Nome di Gesù attribuito a Pietro Novelli. Notevoli nella Cappella di Sant’Andrea i monumentali sarcofagi dei Tantillo, famiglia cui appartenne il Protomedico del regno di Sicilia Giovanni Vincenzo, nonché il fercolo processionale di Sant’Antonio Abate. Tra gli arredi seicenteschi, si segnalano gli stalli corali (1619) intagliati da Francesco Amari su progetto di Giuseppe Dattolino e il fastigio dell’organo (1604) dell’intagliatore Francesco Barberi.

Fra le opere del Settecento si ricordano la tela con San Benedetto in gloria firmata da Filippo Randazzo, la statua lignea di Sant’Andrea apostolo di Filippo Quattrocchi, la tela dell’Immacolata attribuita a Grano e la tela dei Santi Simone e Taddeo del ciminnese Melchiorre Di Bella, pittore e incisore allievo del D’Anna. Interessante la collezione di ritratti di sacerdoti ed arcipreti tra i quali alcuni dipinti dal ciminnese Padre Pasquale Sarullo. Notevoli anche gli arredi liturgici e i sacri paramenti del Settecento, i libri corali miniati da don Santo Gigante (prima metà del Seicento) e l’archivio storico, risalente alla fine del Quattrocento.

Note