Santo Meli e il Risorgimento incompiuto

di Pippo Oddo

l 1° ottobre 1860 a Palermo, nello spiazzo di porta San Giorgio, già teatro della fucilazione di tredici patrioti insorti il 4 aprile nel Convento della Gancia, fu fucilato (dopo un breve processo-farsa) Santo Meli, il focoso capopopolo di Ciminna.

Dopo la battaglia di Carini (17 aprile 1860) aveva continuato con la sua squadra (la sola rimasta in armi) a tenere accesa la fiaccola insurrezionale fino al punto da attirare l’attenzione di Garibaldi che, come sappiamo, l’11 maggio sbarcò con i mille a Marsala. Santo aveva solo 28 anni e apparteneva ad una famiglia di commercianti liberali ed antiborbonici a prova di bombe. Eppure è passato alla storia come bandito. In realtà rappresentava l’espressione più genuina del mondo contadino che partecipò al Risorgimento inseguendo il miraggio della riforma agraria. A tal proposito è appena il caso di aggiungere che Ciminna tra il 1848 e il 1860 fu teatro di una vera e propria guerra civile che vide schierati su fronti opposti i popolani e i cosiddetti galantuomini che avevano usurpato migliaia di ettari di terre pubbliche. Né avvenne a caso se a comandare il plotone (20 giorni prima del plebiscito che decise l’annessione al regno sabaudo) fu l’agrario corleonese marchese Ferdinando Firmaturi, che pure sapeva bene che l’irriducibile guerrigliero era stato uno dei più convinti seguaci di Francesco Bentivegna. Santo era un personaggio troppo scomodo agli occhi della borghesia salita all’ultimo momento sul carro del vincitore per essere additato ad esempio nel regno d’Italia.

 

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