Clemente Bovi: Medaglia d’oro al valor militare alla memoria

DSCF6892Di ritorno, in automezzo privato ed in abito civile, da un permesso fruito presso la propria famiglia, veniva fermato, a notte alta ed in aperta campagna, da sei malfattori i quali, come avevano già fatto con altre dieci persone da essi rapinate e trattenuti, gli imponevano di scendere e di sdraiarsi bocconi. Pur sotto la minaccia delle armi spianate, si portava d’un balzo al di là della scarpata fiancheggiante la strada e con singolare ardimento, insigne coraggio e sprezzo del pericolo, estraeva la pistola d’ordinanza ed ingaggiava, da solo e allo scoperto, violento conflitto a fuoco, nel corso del quale uccideva uno dei banditi e ne feriva probabilmente un altro, finché, colpito al petto da una fucilata, si abbatteva esanime al suolo dopo aver volto in fuga i malviventi. Il suo eroico comportamento, luminoso esempio di elette virtù militari e di alto senso del dovere spinto sino al consapevole olocausto della vita in difesa delle leggi, suscitava l’incondizionata ammirazione di autorità e popolazioni.” Corleone (PA), 8 settembre 1959

Il ricordo del figlio Vito Andrea Bovi

100_3005Mio padre aveva 32 anni quando fu ucciso l’8 settembre 1959, a pochi chilometri da Corleone. Prestava servizio come carabiniere scelto alla stazione di Caltabellotta, in provincia di Agrigento.

Io avevo appena due mesi quando rimasi orfano. Stava ritornando in servizio, quando si imbatté in alcuni malviventi intenti a derubare i passanti invece nacque uno scontro a fuoco. Mio padre, prima di cadere a terra esanime, era riuscito ad uccidere un componente della banda e a ferirne un altro.

Quella sera di oltre cinquanta anni fa, mio padre stava in macchina lungo la strada statale 118, in contrada «Bicchinello», a cinque chilometri da Corleone, quando fu fermato da alcuni banditi. Erano appostati accanto alle «Case Moscato» e già tenevano sdraiati per terra dieci passanti, che stavano derubando di ogni loro avere. Evidentemente, era loro intenzione rapinare pure lui. Infatti lo costrinsero a scendere immediatamente dalla macchina e a sdraiarsi per terra. Ma mio padre, pur sotto la minaccia delle armi, si lanciò con un balzo al di là della scarpata che fiancheggiava la strada, e, con grande coraggio e pure cosciente del pericolo, da solo e allo scoperto estrasse la sua pistola d’ordinanza, scatenando un violento conflitto a fuoco, nel corso del quale riuscì ad uccidere uno dei banditi e a ferirne probabilmente un altro. Poi, colpito in pieno petto da una fucilata, si abbatté per terra esanime, mentre i malviventi si davano ad una fuga precipitosa.

Chi era Clemente Bovi? Nacque a Ciminna, un paesino in provincia di Palermo, nel 1927. I genitori furono Clemente Bovi (il mio stesso nome) e Domenica Peri, entrambi di Ciminna. La sua era una famiglia numerosa composta da sei fratelli, tutti onesti lavoratori. Due di loro caddero nella seconda guerra mondiale. Ad appena vent’anni, Clemente si arruolò nella Legione allievi. Nel dicembre 1946, nominato carabiniere, fu assegnato alla legione di Milano. Nel marzo 1949 venne trasferito alla legione di Messina e, due anni dopo, nel 1951, a quella di Palermo, che lo destinò alla stazione di Caltabellotta, in provincia di Agrigento. Si era sposato con Maria Peri, che è morta il 26 giugno 1965, da cui nacque un solo figlio: Vito Andrea. La sera dell’8 settembre 1959, lasciata la moglie e il piccolo figlioletto dai suoi parenti a Ciminna, stava rientrando in caserma a bordo di un’autovettura, quando fu attaccato da un gruppo di banditi e ucciso.

Alfonso Lo Cascio che poi ne curò la biografia ebbe a dire: «Sicuramente  Clemente Bovi fu una persona generosa, che aveva un grande senso del dovere e che sparò perché ritenne che questo fosse il suo compito di tutore dell’ordine».

Non è del tutto chiaro quel che avvenne la sera di quell’8 settembre 1959 presso le «Case Moscato» a Corleone. Ed è ancora meno chiaro perché successe. Gli inquirenti, aiutati dalle testimonianze «a singhiozzo» di alcune delle dieci persone che sono state rapinate, riuscirono ad arrestare sei banditi. Sugli interrogativi ancora esistenti ho scritto un libro dedicato a mio padre. S’intitola «Un eroe semplice». Per quel delitto il processo di primo grado si svolse a Palermo nel 1962 e si concluse con condanne esemplari nei confronti di tutti gli accusati rinviati a giudizio (quattro erano stati assolti per insufficienza di prove in fase istruttoria). Né le indagini, né il processo evidenziarono però un ruolo della mafia di Corleone.

Addirittura, nessuno si pose il problema. Stranamente, il processo di appello si svolse a Bari dove con sentenza del 28 ottobre 1966, gli imputati vennero tutti assolti per non aver commesso il fatto. Ma in questa sede mi preme parlare di mio padre e di ciò che rappresenta per me.

papaLa figura di mio padre, si colloca, per esempio e coraggio, tra gli eroi divenuti tali non per mero caso, ma per scelta consapevole di fare fino il fondo il proprio dovere, un dovere imposto dal giuramento prestato. Ho letto in qualche testo che il senso del dovere può diventare “un’orribile malattia”; ciò si verifica quando viene vissuto e considerato come qualcosa di imposto dall’esterno, che non riconosciamo come nostro e nel quale non ci riconosciamo. Io penso, invece, che in mio padre il senso del dovere avesse a che fare con la volontà, era vissuto come qualcosa di radicato nella sua essenza più profonda. Ho idea che per mio padre fare il proprio dovere coincideva con qualcosa di piacevole, gli consentiva di sentirsi bene, di stare bene con se stesso e meglio con gli altri. Mio padre, come ho detto, non è stato eroe per caso, fu eroe per scelta: la scelta di essere carabiniere fino in fondo, di non cedere alla prevaricazione, di non consentire ad alcuno di sopraffare la legge e la libertà. Fu un gesto eroico diventato noto per la sua tragica fine che si inserisce in una eroica quotidiana abitudine dei Carabinieri a fare il loro dovere. I Carabinieri sono anonimi. Si riconoscono solo quando uno di essi è ucciso da un pazzo o da un delinquente. Non nascondo che, in qualche momento di difficoltà e scoramento, ho pensato che avrei potuto fare a meno degli onori in cambio della presenza di mio padre, del suo affetto, del suo sostegno, del suo consiglio e persino dei suoi rimbrotti. Ma poi mi accorgo che questa umana, comprensibile, e persino egoistica debolezza lui non l’apprezzerebbe. Ricordare mio padre in è motivo di particolare orgoglio perché ciò conferma che il suo sacrificio è esemplare dimostrazione dell’alto senso del dovere che anima gli appartenenti alla Benemerita. Lo stesso moto di orgoglio che mi provocò la notizia che l’Arma, nel 1996, aveva intitolato un corso della Scuola Allievi di Benevento con il nome di mio padre, il 184° Corso Allievi Carabinieri “Clemente Bovi”.

Per me è un privilegio poter scrivere queste parole per ricordare la semplice e nobile figura di mio padre perché oltre ad essere un carabiniere era anche un uomo che con la sua forza e le sue debolezze ha voluto, col il suo gesto, lasciare ai posteri i veri valori e qui voglio ricordare una frase di Paolo Borsellino che dice: E’ bello morire per ciò in cui si crede. Ma chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola”. Sono le parole di un uomo che ha dedicato e sacrificato l’intera vita allo Stato di diritto. Mio padre apparteneva al novero di questi uomini generosi, che ha gettato il cuore oltre l’ostacolo ed avanzato dove altri hanno esitano, animato da questo senso di abnegazione così avvertito in tanti rappresentanti dell’Arma. Desidero concludere questo breve intervento con le parole che vorrei il mio papà potesse leggere.

 

Caro papà,

sono passati più cinquant’anni da quel fatidico giorno e sei sempre nei miei pensieri, come se ogni giorno comunicassimo in muto silenzio. Quasi non mi sembra vero che da alcune semplici conversazioni con amici oggi sia nato un libro che racconta la tua vita e ho sentito subito che si sarebbe trasformato in un atto d’amore verso di te. Il lavoro ti portava ad essere lontano da casa, ti soffocavano le varie situazioni e quando cercavi un po’ di riposo ti rifugiavi nel tuo paese natio, Ciminna, tra le persone che ti amavano e con le quali condividevi le tue gioie, le tue paure, i tuoi dolori. Poi, quel viaggio triste ha interrotto nel più atroce dei modi la tua vita. E così sono stato io il “tuo tempo”, tuo figlio, che ha trovato la forza di realizzare e portare avanti i tuoi ideali e i tuoi valori di carabiniere perché ho scelto di percorrere la tua stessa strada per un periodo della mia vita. Chi entra nella Stazione dei Carabinieri di Ciminna, chi guarda il muro della Torre Civica, chi entra al cimitero comunale o percorre una via del paese, si accorge di un nome, una lapide e un busto, quello tuo, Clemente Bovi, M.O.V.M.. Molti guardano di sfuggita, altri indugiano talvolta senza comprendere il significato di quella sigla, ma tutti, certamente, intuiscono che si tratta di un uomo che ha fatto qualcosa di importante. I ritmi a volte frenetici della vita e del lavoro ci permettono infatti sempre meno di soffermarci a riflettere, o semplicemente di chiedersi: “ma chi era Clemente Bovi e cosa ha fatto per meritare l’onore del ricordo?”. E’ la storia di una persona semplice ed umile che, di fronte alle sue prime scelte di vita, ha deciso di diventare carabiniere, servitore dello Stato, ha saputo farsi apprezzare, stimare ed amare, servendo l’Arma ha acquisito coscienza ed ha diffuso coscienza, ha tratto esempio e a sua volta ha dato esempio, morendo da eroe. Per tutti coloro che sono “venuti dopo”, è importante non solo onorare la tua memoria, ma anche e soprattutto saper leggere nella tua vicenda cosa significa la responsabilità, la lealtà, la coerenza e l’amore per le cose in cui si crede. Padre mio, voglio dirti che sono orgoglioso di essere quello che sono, perché ho avuto la grande fortuna di avere un genitore come te, dal quale ho imparato tanto grazie alle parole e ai racconti di persone a te care. Neanche nel momento della tua morte hai voluto dare fastidio, te la sei sbrigato da solo e a modo tuo, mi hai lasciato all’improvviso quando avevo solo pochi mesi di vita. E’ assordante la tua mancanza, ma la tua anima resterà sempre dentro di me, perché tu fai parte di me. Crescendo mi rendevo conto che non c’era la tua presenza e tante gioie che desideravo nel mio cuore si spegnevano. Ma oggi che sono padre il sorriso per la vita è tornato un po’ più gioioso sulle mie labbra e cerco di vivere serenamente perché so che mi stai vicino a modo tuo. I genitori si augurano di lasciare in eredità ai propri figli denaro e beni materiali, certo può far comodo, perché negarlo, ma posso affermare che non esiste qualcosa al mondo di più grande, più immenso, più meraviglioso e completo dell’amore tra un padre e un figlio, un amore universale. Non posso spiegare con le parole ciò che si prova a non averti accanto ogni giorno, a non poter sentire la tua voce, a non potermi confidare con te, a non poter condividere con te i progressi e le problematiche della mia vita. Voglio immaginarti sorridere, voglio pensarti felice lì dove adesso sei, voglio farti ricordare sempre con qualsiasi mezzo per il tuo gesto eroico e per essere stato un persona speciale dentro e con le persone che ti stavo accanto. Voglio portare la tua dolcezza e il tuo sorriso nel mio cuore per sempre e se solo potessi parlarti un solo istante ti direi grazie per avermi dato la vita, e ti direi che sono fiero di avere un padre come te.”

 

Vito Andrea Bovi

8 settembre 2013

 

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